mercoledì 11 febbraio 2009

Dealing with failure

Se c'è una cosa che detesto ancora piu' del fallimento, è la disposizione a trovare stupide scuse e alibi per sentirsi meglio.
Travisare la realta', leggere significati astrusi in atti e parole ordinarie: questo è un atteggiamento che aborro. È qualcosa per cui le donne apparentemente hanno una particolare attitudine. Invece, a volte un bel "he's just NOT into you" ci vuole - bisogna guardare in faccia la realta'.
La settimana scorsa ho avuto una prova, mi sono relazionata con gente migliore di me, e ho perso. Tutto qua.
Una delle implicazioni piu' evidenti del frequentare una delle cosiddette "top-tier univesities" è proprio abituarsi a questo. Ci sono milioni di persone al mondo che che sono molto meno in gamba di me, a cui non bastano quarant'anni per accollarsi i rischi e l'impegno che mi accollo io a ventiquattro. Qui a Cambridge pero', ci sono tutti gli altri. Persone che sono arrivate prima e meglio. Che studiano a questi ritmi da quando avevano sei anni, ma che in piu' hanno l'entusiasmo, la forza d'animo e il senso dell'umorismo di chi ha tutta una vita fuori dai libri.
Non ci sono scuse. Non ci sono "secchioni ma...". Sono persone a tutto tondo. Il fatto di essere qui con loro sottolinea il mio valore e allo stesso tempo i miei enormi limiti.
In questo periodo, ogni giorno è una sconfitta. E' un susseguirsi di prove in cui penso di aver dato il massimo, solo per poi scoprire che "potevo fare di piu'", e che quel massimo non era abbastanza. E' un continuo rialzarsi per essere colpiti ancora, e avvertire con frustrazione le ginocchia che si piegano di nuovo, nonostante tutto. Anche la mia vita privata a volte sembra semplicemente andare allo sbando con tutto il resto.
Qualcuno mi ha detto che non devo perdere la mia autostima, la mia sicurezza.
Io penso che la mia autostima in un certo senso si stia rafforzando sempre piu'. Non ho mai avuto paura di essere io la voce che diceva "He's just not into you". Ora in qualche modo sento di averne piu' diritto, perche' so che non potrei mai sminuire il successo altrui per invidia.
Stare al mondo vuol dire relazionarsi con gli altri, oltre che con se stessi. Essere coscienti del proprio posto all'interno di quella che non e' una scala, ma piuttosto una rete.
Relativizzare sempre tutto, successi e fallimenti compresi, vuol dire non relazionarsi con nessun altro che con se stessi: non mettersi in gioco, escludersi dal mondo per paura di competere.
Al contrario, ammettere che esistono canoni di valore oggettivi, pur non sentendosene mai prigionieri...Questo forse significa avere coraggio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io da un po' ho iniziato a vederla così: i nostri limiti sono i nostri confini sulla mappa.
Ogni fallimento aggiunge un tratto alla mappa: ci fa conoscere meglio chi siamo, fino a che punto arriviamo, su quali risorse possiamo contare. E' l'unica occasione che abbiamo per dare un'occhiata a cosa c'è di là e decidere se ci piace davvero, se vale una nuova battaglia. E allora riprovarci. D'altra parte i confini servono più a capire di quale territorio possiamo o vogliamo prenderci cura, che ad assegnarci un posto sul planisfero.