lunedì 16 marzo 2009

Senza parole

Considerando la mia vita ad oggi, naturalmente riconosco di essere stata felice più di una volta, più o meno a lungo. Tuttavia, solo una volta, in tutta la mia vita, ho provato quella baldanzosa, elettrizzante sensazione di essere felice qui e ora: felice nel presente. Non era la timida contentezza di chi "sta bene con se stesso". Non era effimera come la gioia, nè duratura come la serenità. Era una sensazione revitalizzante, sconsiderata eppure perfettamente cosciente; era pura euforia che si rinnovava giorno dopo giorno.
Era l'inizio dell'inverno del 2006. Non avevo un solo pensiero al mondo, nè una preoccupazione che non potesse svanire con poche ore di treno.
Mi chiedo se proverò mai più quella sensazione. Mi chiedo se quella sensazione sia indissolubilmente legata all'innamoramento, e se debba quindi dedurne che solo una volta, in vita mia, sono stata innamorata.
Ma in fondo credo che l'innamoramento, da solo, non basti a creare quell'attimo, che è ben più raro dei movimenti del nostro cuore incostante.

sabato 7 marzo 2009

Cambridge

Because so much of my thinking comes up in English anyway, and my Italian prose is packed with English words no matter how hard I try, I might as well write in full, plain English. Which kind of defeats the purpose of having a blog in the first place, namely to keep up my Italian.


I'm also sorry for a few mysterious readers that apparently access this page regularly from Turin and Bergamo (I’ve got no friends in Bergamo so that’s really sweet of them, isn’t it), so I guess I’ll open another page somewhere else. Here’s the beauty of the internet: the freedom to clutter the net with unwanted and unnecessary writing.


I feel better already. It’s like giving up to a vicious pleasure. The joy I get from writing is just as much in either language anyway (almost so: the narcissistic pleasure I get from the sound of my words in Italian has no equal).


I was thinking that I’ve never lived in a place that was, like Cambridge is, so plain pretty. I have never seen so little ugliness when walking to school, or strolling in the centre. Ugliness is nowhere to be seen, almost erased from the memory. I can’t explain it. I guess it’s like living in one of those pretty little towns of ours: Siena, Mantova, Pisa. I get up and walk into a quite, residential street. I free my bike and I’m in the centre. Few cars. Narrow streets. Stunning architecture, which I’ve learnt to take for granted, but which improves your life by a great deal. The air seems crystal clear. I love cycling fast, but I also love taking the time to look around. I love King’s, with its gothic towers. I love that corner that leads me to the Market Square when I’m in need to go to Starbucks. In fact, I love Starbucks that doesn’t interfere with the landscape. I never feel so fully integrated into this society as when I shop, which is kind of sick, but it’s a great feeling. Spending money that I don’t have, as everybody else seems to be doing with such pleasure.


And the Judge Business School. Come on, my school is just great. I never will understand people that don’t like its style. It’s colourful and cheerful, but still tidy and minimalistic. It’s like being in Charlie and the Chocolate Factory, but it’s so new and shiny. “Judge” for yourself:







venerdì 6 marzo 2009

On top.

Dopo aver studiato le teorie di gender declinate in ogni aspetto della vita e dello scibile, mi rendo conto di essere comunque rimasta ferma, per anni, all'idea di femminismo che avevo da bambina.

Tutto sommato sono in buona compagnia, perche' anche la societa' e la maggioranza delle donne sono rimaste allo stesso punto, la problematica femminile completamente ibernata. Come se non fosse piu' un problema, fosse ora di andare avanti e occuparsi di cose "piu' serie".

Dunque dipende tutto da noi, da quanto duramente siamo disposte a lavorare e quanto siamo disposte a sacrificare (matrimonio, maternita', cura di noi stesse) per accaparrarci qualcosa che tutto sommato non ci appartiene: il successo in battaglia - un buon lavoro, denaro, indipendenza, potere.

Sono cresciuta con l'idea che per avere successo nella vita dovevo essere "tosta". Ovvero sono cresciuta con un'idea di successo gia' declinata al maschile: il successo che si ottiene quando gli old boys ti accettano nel loro club di partite a golf e gare di rutti. Il potere di umiliare i sottoposti, piuttosto che il potere declinato al femminile, power to make things happen.
Sono cresciuta determinata a combattere quella battaglia insensata che gli uomini identificano come unica modalita' di fare business.

Quest'atteggiamento, pero', si e' scontrato un giorno con il mio sviluppo fisico. As simple as that. La femminilita' - di cui ovviamente non mi ero dovuta preoccupare da bambina - rappresentava un ostacolo enorme sul cammino da schiacciapietre che avevo preparato per me stessa.
No, non erano "quei giorni" il problema. Non ho mai sofferto di dolori mestruali - in case anybody should know - e non erano quelli che mi impedivano di andare a sciare con mio padre*, o svegliarmi alle sei per dimostrare che potevo tenere sottocontrollo i miei bisogni.

D'altra parte (e purtroppo e' ancora necessario esplicitarlo), nemmeno mi sono svegliata un giorno illuminata dall'idea che il vero successo per una donna era sfornare figli e infornare torte.

No, a tredici anni mi sono ritrovata li', nel mezzo, frammentata. Convinta che il potere e il successo richiedevano una forza e una brutalita' che io, semplicemente, non avevo. Ho deciso di rinunciare. La brutalita' e la prepotenza non erano nelle mie corde, e cosi' mi convinsi erroneamente di non essere una persona competitiva. Di nuovo, pensavo alla competitivita' declinata al maschile: aggressiva attitudine al dominio, showing off, outrunning, ultimately excelling at the art of the war.

A 13 anni ho deciso di arrendermi a un modello di femminilita' altrettanto stereotipato e che non sentivo comunque mio, ma che era pure sempre piu' mio di quel modello di "tough bitch" che gli uomini gia' cominciavano a cucirmi addosso.

Le mie scelte accademiche riflettono quest'abbandono, e anche quelle personali riflettono un'attitudine a drift off e a far decidere gli altri per me.
Ho studiato lettere perche' ero stata costretta ad abbandonare il mio piano, e non ne avevo trovato uno alternativo. Ho studiato lettere perche' pensavo che non sarei stata la breadwinner anyway - so why bother?

Avere un piano e' fondamentale, per non disperdere le proprie energie. Il piano - quello che vogliamo dalla vita - puo' cambiare in maniera radicale, ma e' come un Nord che non puo' mai oscurarsi del tutto. C'e' una donna, amica di amici, di cui sento parlare, che e' l'incarnazione di tutto cio' che aborro, che non vorrei mai diventare. E' evidente che non ha un piano, e che stima cosi' poco quello che e' e che ha costruito, cosi' poco da mandarlo all'aria per un uomo (che non la ama). Non e' il fatto che non ha una carriera, ne' un marito, ne' un figlio a darmi i brividi. E' che e' una donna che mostra chiaramente di non rispettarsi, e non pretende il rispetto degli altri. Cosi' facendo, rema contro l'operato di milioni di donne che sono al contrario whole, smart and accomplished, e che soprattutto lottano per una cosa. Essere prese sul serio.

Quit bein' a girl, for Christ's sake.

Il successo a cui aspiro oggi, per il mio futuro, e' la soddisfazione di avere un lavoro stimolante ad un compenso adeguato. Le donne devono smetterla di fingere di non essere interessate ai soldi, di non chiedere promozioni e aumenti. Nella mia famiglia vorrei che non ci fosse un breadwinner designato piu' o meno esplicitamente, ma piuttosto un senso di squadra.

Vorrei scalare la gerarchia che gli uomini hanno creato, e aspirare ai top jobs, ma con le mie regole, e non al prezzo dell'alienazione. Even if it takes to change company every two years.

I want to be fulfilled enough as a worker to be a good mother.

Vorrei solo che questa frase non debba avere il sapore paradossale che invece ancora ha, e manterra' per molto tempo ancora.



* sullo sci come simbolo maschile di forza, forse ci vorra' un altro post.

mercoledì 4 marzo 2009

If you liked it then you should have put a ring on it.

Qualche giorno fa mi trovavo da Harrod's nel reparto gioielleria. In realtà chiamarlo reparto è un torto che neanche una come me - fondamentalmente disinteressata alle pietre preziose - si può convincere a fargli. Infatti non è un reparto come la macelleria, o come per esempio il reparto uomo, donna o bambino. Più che altro è un tempio. Un tempio vasto e scintillante a cui si accede per vie misteriose e occultate alla vista, neanche si debba evitare che troppe persone ne varchino l'ingresso. Per la prima volta ho capito come si sentiva Audrey Hepburn a fare colazione da Tiffany.

Basta: non si può portare una 24enne nubile tra cotanto splendore e aspettarsi che non cominci a soppesare gli anelli di diamante. Nella fattispecie, i miei gusti sono tradizionali, e si possono riassumere con lo slogan "the bigger, the better". E' un campo in cui decisamente non c'è pericolo di risultare pacchiani. Non ho ancora visto un anello di diamante che potesse risultare eccessivo o fuori luogo. Neanche quello da 160,000£ avvistato da Tiffany (piccolo, scintillante eppure in qualche modo impegnativo da portare al dito...).

E' bene conoscere i propri limiti, e penso proprio di potermi scordare un anello che costa quanto un appartamento. Però l'anello di fidanzamento rappresenta un impegno, giusto? Pare di capire che venga regalato insieme ad una proposta di matrimonio. E' giusto che un uomo ci pensi 10 volte prima di fare questo passo. Dovrebbe significare che è pronto a sposarsi anche domani e a passare tutta la vita insieme all'altra persona. Se è pronto a tutto ciò, spero proprio che non si presenti con un anello da 900€. Come a dire, sì, mi impegno ma senza rischiare troppo. Magari me lo ridai nel caso. Come quando compri un biglietto della Ryan Air a 50€ pensando, "al massimo non parto". It would slightly defeat the purpose, direi.

Let her family pay for the wedding, come da tradizione. Ma allora lasciamo anche che l'uomo dimostri la sua serietà di intenti in un modo che è veniale, ma che è uno dei più importanti modi di comunicare che conosciamo.

venerdì 27 febbraio 2009

Stavo per

Questo post stava per avere un tema positivo, volto alla speranza.
Stavo per scrivere delle cattive impressioni che si rivelano sbagliate, dei giudizi troppo duri che diamo spesso sulle persone. Stavo per parlare della mia amica H., ma in qualche modo mi e' passato l'entusiasmo.

Mi e' venuta in mente, al contrario, tutta la fenomenologia opposta. Persone che idealizziamo, che eleviamo a modello, perfino, ma che poi rivelano tutta la loro debolezza, la mancanza di fermezza e di integrita' di spirito.

Ci rendiamo conto in questi casi che that very thing che ammiravamo in loro non era altro una nostra percezione, un miraggio, uno scherzo relazionale. Sono umani e profondamente patetici, come noi: in qualche modo e' una semplice ma destabilizzante verita'.

Ci si sente quasi ingannati.

martedì 24 febbraio 2009

Vergogna & co.

Questo week end mi è capitato di parlare del senso di vergogna o imbarazzo.
La riflessione è nata da un saggio di danza a cui ho assistito, in cui 90 donne della mia età ballavano al ritmo delle canzoni pop degli ultimi anni, formando improbabili coreografie e indossando improbabili costumi. Un livello di bravura che sarebbe accettabile in una bambina di 10 anni era tranquillamente sfoggiato da queste signore di fronte al pubblico pagante (poco, ma pagante).

Il fatto di cui si discuteva non era tanto che loro stesse non si vergognassero, quanto che noi (pubblico) ci vergognassimo per loro. E' un sentimento interessante, per vari motivi. Per prima cosa perchè non si capisce da dove nasca, e Freud e il suo Motto di spirito non contribuiscono in alcun modo a delineare la sua causa. E' interessante anche perchè spesso capita di vergognarsi al posto di qualcun altro, nella vita di tutti i giorni.

Comportamenti fuori tempo, over the top, insensati, patetici, ultimamente ridicoli. E persone che non si rendono neanche conto del loro essere imbarazzanti. Forse l'imbarazzo nello spettatore nasce dalla mancanza di rispetto verso la persona che si mette in ridicolo. La rispettiamo così poco da non pensare che possa provvedere al suo stesso imbarazzo e porsi un limite da sola, rendersi conto e smetterla di rendersi ridicola. Ci aspettiamo il peggio. Non ci fidiamo della sua capacità, e in qualche modo ci sentiamo responsabili per lei.

La manifestazione peggiore, più repressa ma forse più diffusa, di questo sentimento, è vergognarsi del proprio partner. Forse è per questo che monitoriamo attentamente il comportamento del fidanzato/a quando siamo in compagnia. Vogliamo vedere se questa persona, socialmente parlando, "se la sa cavare da sola" o se al contrario dobbiamo costantemente intervenire, supplire alla sua mancanza di carattere. Mi è capitato spesso in passato di dissociarmi completamente dall'atteggiamento della persona che ai tempi avevo a fianco, a volte anche di vergognarmi.

Se la mancanza di questo tipo di indipendenza risulta accettabile (nel senso che per molti uomini non è un problema) nella fidanzatA, sicuramente al contrario vogliamo che l'uomo che abbiamo a fianco sia indipendente, influente, carismatico, affascinante.

Forse è la prima volta che posso stare tranquilla da questo punto di vista. Che non devo continuare a giustificarlo tirando in causa il carattere, la stanchezza, le abitudini, le idiosincrasie. A lui basta presentarsi col suo maglioncino rosso e i capelli Pantène, e io posso sit back, and relax. Potrei firmare una carta bianca riguardo a tutta la sua gamma di comportamenti sociali. So che sa parlare di tutto, so che sa ascoltare, che ha un senso dell'umorismo elastico e adattabile. Sa riempire gli spazi in modo pacato ma sicuro.

Ovviamente tutto ciò non basta, ma troppo spesso sottovalutiamo l'importanza di questo tipo di sentimenti. Li mettiamo a tacere perchè ci sentiamo in colpa, ci sentiamo cattivi. Spesso finiamo per sposare persone che non rispettiamo, di cui a volte ci capita di vergognarci, e ci condanniamo ad una vita di coppia chiusa. Almeno se siamo solo in due ci risparmiamo quel fastidioso senso di imbarazzo. Al massimo quelle due o tre coppie di amici di lunga data, ma nessun rischio, nessuna sperimentazione, nessun mescolare gli ambiti. Come direbbero i Cesaroni, che amarezza.

sabato 14 febbraio 2009

British jobs to British workers

Allora, abbiamo appena detto di non cercare scuse e ammettere di avere fallito. Solo che poi si viene a scoprire che 10 su10 candidati che hanno avuto successo sono inglesi. La proporzione era 1/3 con 2/3 di "international students".
Ora mi chiedo: se per avere un lavoro equivalente a un uomo devo essere brava il doppio, e per avere un lavoro in un'azienda inglese devo essere 3 volte più brava di un inglese, in tutto 3*2=6 in media, però per avere il lavoro di un uomo inglese, allora 3*2*2=12. O forse dovevo sommare? O elevare a potenza?
Torno a ripassare matematica. Vista la bleak situation, sarà meglio prepararsi bene.

venerdì 13 febbraio 2009

In spiaggia

Amo la luce intensa. Amo il sole, e le calde giornate di Luglio. Amo i climi che mi fanno stare a contatto col mio corpo, senza la necessità di strati su strati di vestiario (detesto l'alienazione corporea propria dell'inverno).
Non ho paura di sudare. Amo il sale che mi si appiccica addosso e mi arriccia i capelli. Naturalmente amo il mare, e la spiaggia. Mi piace starmene sdraiata per ore, in compagnia dei miei libri, a coltivare le mie idee.

Sola o in compagnia, sicuramente mi piace stare senza quelle classiche palle al piede che si lamentano perchè: fa caldo (ma dai?!); il sole scotta; il mare è salato; e poi: e mi brucio, e mi annoio, e mettimi-la-crema... Tutto per arrivare, nel migliore dei casi, al fatidico "Io ti aspetto su" - ma vaaai.

Avendo una casa al mare, negli anni ho visto passare ogni varietà possibile di questo stesso tipo umano. Cioè non solo uno li invita, li ospita, li sfama...Uno li porta lì, sperando di farsi un bel week end di mare in santa pace e in amicizia, e questi cominciano a rompere.
Lo riconosci subito l'ospite rompicoglioni. Il problema è che lo riconosci quando ormai hai già passato il Turchino - e allora è troppo tardi.

Ci sono quelli che vogliono l'ombrellone. Come i bambini. Mi viene subito da domandargli se mi chiederanno anche la paletta e il secchiello.
Ci sono quelli che vogliono tornare su a mangiare. Secondo loro io devo interrompere il mio rapporto simbiotico con sole-mare-lettino per andare a preparare la pastasciutta.
Ci sono quelli che "eh ma c'è il moto GP". A questi impartisco una benedizione e li mando su con le chiavi in mano.

Ma poi - e sono i più fastidiosi - ci sono quelli che non fanno il bagno.
Questi solitamente mi spiazzano.
Non so, io mi alzo una, due, tre volte per andare a nuotare, e loro lì, silenziosi. Tipicamente penso che sia una coincidenza, un caso. Magari non li ho visti io fare il bagno. Il problema è che loro se ne stanno lì, col broncio, e allora dopo qualche ora mi tocca dargli da parlare.
"Tutto ok?"
"Sì sì", rispondono agitandosi sul lettino.
"Sicuro/a? Non ti rinfreschi un pò?" Ora mi tocca fare la mamma, capito.
"Tanto fa caldo uguale, si muore..." -- Ecco!!
Gesù benedetto dammi la forza, penso sconsolata.
A questi purtroppo non c'è rimedio. Sono un pò come le donne quando dicono che "non hanno niente" - non li puoi battere.

Tipicamente le mie preghiere rimangono inascoltate, e prima o poi questi li mando affanculo.

giovedì 12 febbraio 2009

Loving my mates

Quando mi dicevano "tornerai a sorridere", non pensavo che avrei riso così tanto da avere le mascelle indolenzite.
A seguito del lavoro di gruppo, di per sè enjoyable, oggi abbiamo fatto una presentazione veramente da effetti speciali. Se anche stavolta è un falso allarme, se non ci dà una distinction stavolta, allora veramente non c'è più religione.
Bene, mentre soddisfatta mi allontanavo con la mia borsa della piscina, sento il mio compagno finlandese che mi trattiene dallo zaino. Con la sua solita aria serafica, propone "group presentation, group celebration" - e sia. E' il terzo giorno consecutivo che mi porto la borsa della piscina e qualcosa o qualcuno mi devia dai miei sani propositi. Per una che normalmente non beve, una half pint alle 5 del pomeriggio garantisce il buonumore. Un finlandese, un'italiana, una cinese, una slovacca, un indiano e una nigeriana. Cos'avremo in comune da ridercela tanto? Eppure è stato un continuum di risate. Era tanto che non mi divertivo così. Si spazia dal rito matrimoniale nigeriano al lutto in bianco indiano. Passando per il mio apparentemente esilarante mix di accento inglese ma gestualità italiana. Apparentemente mi tocco il collo quando parlo di "peccati". Cena al Queen's college. L'argomento si sposta sulla gelosia. Seguono case studies, e scopro che i cinesi hanno un senso dell'umorismo particolarmente sviluppato. Si parla di prime impressioni. Mi ricordo il primo giorno, you guys looked all just like sharks. Si progetta la gita di classe. Fuori nevica pesante, mentre dal college ci rispostiamo al pub. Il camino acceso e il fiume dalla finestra. Cambridge è una cartolina.
Mi scrollo di dosso la brutta sensazione di stamattina, di essere in una canzone di Patti Smith.

mercoledì 11 febbraio 2009

Dealing with failure

Se c'è una cosa che detesto ancora piu' del fallimento, è la disposizione a trovare stupide scuse e alibi per sentirsi meglio.
Travisare la realta', leggere significati astrusi in atti e parole ordinarie: questo è un atteggiamento che aborro. È qualcosa per cui le donne apparentemente hanno una particolare attitudine. Invece, a volte un bel "he's just NOT into you" ci vuole - bisogna guardare in faccia la realta'.
La settimana scorsa ho avuto una prova, mi sono relazionata con gente migliore di me, e ho perso. Tutto qua.
Una delle implicazioni piu' evidenti del frequentare una delle cosiddette "top-tier univesities" è proprio abituarsi a questo. Ci sono milioni di persone al mondo che che sono molto meno in gamba di me, a cui non bastano quarant'anni per accollarsi i rischi e l'impegno che mi accollo io a ventiquattro. Qui a Cambridge pero', ci sono tutti gli altri. Persone che sono arrivate prima e meglio. Che studiano a questi ritmi da quando avevano sei anni, ma che in piu' hanno l'entusiasmo, la forza d'animo e il senso dell'umorismo di chi ha tutta una vita fuori dai libri.
Non ci sono scuse. Non ci sono "secchioni ma...". Sono persone a tutto tondo. Il fatto di essere qui con loro sottolinea il mio valore e allo stesso tempo i miei enormi limiti.
In questo periodo, ogni giorno è una sconfitta. E' un susseguirsi di prove in cui penso di aver dato il massimo, solo per poi scoprire che "potevo fare di piu'", e che quel massimo non era abbastanza. E' un continuo rialzarsi per essere colpiti ancora, e avvertire con frustrazione le ginocchia che si piegano di nuovo, nonostante tutto. Anche la mia vita privata a volte sembra semplicemente andare allo sbando con tutto il resto.
Qualcuno mi ha detto che non devo perdere la mia autostima, la mia sicurezza.
Io penso che la mia autostima in un certo senso si stia rafforzando sempre piu'. Non ho mai avuto paura di essere io la voce che diceva "He's just not into you". Ora in qualche modo sento di averne piu' diritto, perche' so che non potrei mai sminuire il successo altrui per invidia.
Stare al mondo vuol dire relazionarsi con gli altri, oltre che con se stessi. Essere coscienti del proprio posto all'interno di quella che non e' una scala, ma piuttosto una rete.
Relativizzare sempre tutto, successi e fallimenti compresi, vuol dire non relazionarsi con nessun altro che con se stessi: non mettersi in gioco, escludersi dal mondo per paura di competere.
Al contrario, ammettere che esistono canoni di valore oggettivi, pur non sentendosene mai prigionieri...Questo forse significa avere coraggio.

martedì 10 febbraio 2009

la terza via

Ci sono ricascato. Lo sapevo che i miei progetti di fare vita monastica a Londra sarebbero falliti. Ieri mi sentivo bene, ero inebriato da un senso di onnipotenza e euforia dopo aver conquistato due uomini in una sera ed essere andato a letto con il coinquilino Irlandese della mia amica Greca (che ha confessato di essersi innamorata di me...). Sono quei momenti in cui ti sembra di avere tutto sotto controllo, in cui non pensi alle conseguenze delle tue azioni perchè sei convinto di poter dominare qualsiasi sentimento.

Oggi sono ritornato alla realtà, quel senso di onnipotenza era solo l'alcol che mi andava alla testa e mi stordiva. Sabato notte mi dicevo:" massì scopatelo, che te ne frega se domani non ti cagherà più, divertiti!!". Oggi l'ho cercato, non so neanche perchè, ma ovviamente non l'ho trovato. Triste destino di noi gay, e non solo...

Oggi sono uscito con un altro ragazzo (anche lui conosciuto sabato sera). Ci ho cenato, siamo andati a una festa. Potrebbe essere l'uomo con cui avere una storia seria. Eppure il suo continuo lusingarmi, il suo volermi baciare a tutti i costi, la sua presunta serietà mi hanno veramente infastidito. Era tutto troppo facile. Continuavo a pensare all'Irlandese che dopo la notte di sesso non mi ha più cercato. Sono andato in bagno ho provato a chiamarlo, niente... Nessuna risposta... Ho finto di essere stanco, non ho voluto neanche accompagnare il tizio alla sua fermata del bus. Mi sentivo soffocare. Pensavo:"anche questo potrebbe fare lo stronzo come l'irlandese" ma allo stesso tempo mi dicevo:" ma io mica voglio una relazione, voglio essere libero! Voglio divertirmi come sabato notte!".

Il fatto è che non so nemmeno io cosa voglio. Se lo sapessi forse eviterei di cacciarmi in certe situazioni.

E adesso sono per l'ennesima volta di fronte a un bivio. E' forte la tentazione di richiudermi nella mia rassicurante vita da studente asessuato, nella cara fortezza che mi divide da ogni delusione e da ogni "shock emotivo". Oppure dovrei cercare di affrontare tutto questo e fare i conti con la mia immaturità. In fondo si tratta di convivere quotidianamente con le proprie emozioni e accettare il fatto che le delusioni ti fanno crescere e ti migliorano. Non è tutto bianco o tutto nero, vita asessuata o vita in completa balia delle emozioni e del sesso. Fra questi due estremi c'è una terza via, e forse dovrei iniziare a cercarla...

domenica 8 febbraio 2009

Colori scuri - lavare separatamente

Questo fine settimana ha visto il mio umore assumere tutte le tonalità del nero.

L'eccitazione di giovedì sera - il rientro da Londra, l'adrenalina ancora in circolo dopo i due giorni di colloqui e l'hotel a Mayfair - si è protratta per gran parte di venerdì.

Devo finalmente ammettere di andare d'accordo con i miei compagni di classe. Devo ammettere che preferisco qualche piccolo episodio di squalaggine all'anonimato della mia vecchia università, e devo ammettere che è bello che qualcuno si accorga della tua assenza.
"Hey Rafi I haven't seen you and was wondering if u r ok? I hope the interview went well..Im going to London to relax. Tc Ill see u next week. C."

That was nice. Venerdì meeting di gruppo. Mi ritrovo a mediare fra due mie compagne, sinceramente e con l'unico intento di farle andare d'accordo, smussare gli angoli, ristabilire la pace, fare gruppo. Non riferire le cattiverie e sminuire le incomprensioni. Non so se sono diventata buona o se semplicemente mi rendo conto che la vita è più semplice per tutti quando tutti vanno d'accordo. Soprattutto quando si tratta di cazzate.

Venerdì sera, il blu elettrico dell'eccitazione cominciava ad assumere le sfumature del grigio; nella biblioteca semi-vuota, la mia superstressata compagna capiva come mi sentivo. They're gonna call.

Sabato c'è il sole. Mi infilo la mia tuta Nike e vado a fare colazione con un amico. La mattinata si protrae in varie innocenti perdite di tempo - by now, sono già piuttosto furente, e l'abbigliamento svaccato tradisce il mio stato d'animo. Andiamo a comprare vestiti per neonati (deve andare ad un battesimo). Perdo i miei guanti da bici. Mangio una fetta di torta. Mi avvio verso la business school.

Lavoro di gruppo. Lavorare con gli altri mi rilassa. La realtà è che sono un buon team player, fino a che non c'è qualcuno che mi osserva per giudicarmi. Parlo solo se ho un contributo interessante. Non interrompo. Coinvolgo i silenziosi. Lascio che i dominanti dominino, se ne sono in grado. Dopo tutto, se c'è un leader il gruppo ha tutto da guadagnarne.

C'è una festa Sabato sera. Ma non ci provo neanche a convincermi. Non è proprio cosa - il mio io sociale è categoricamente messo a tacere. Siamo su un nero calmo, come una macchia di petrolio. Al di là dei miei compagni di classe, la stupidità del mondo e della gente mi colpisce con più forza. Classico segnale del pessimo umore: nero tendente alla pece. Il mondo è pieno di idioti, penso sabato sera spegnendo la televisione. La mia tolleranza alle cazzate è ormai minima, e chiudo anche MSN in un moto di stizza. Per carità. I'm not up for bullshit. Facebook addirittura mi fa venire l'orticaria. Facebook, poi, la coltiva, la stupidità umana. La fa crescere, la mette in vetrina. Diciamocelo, ogni Facebook profile è il profilo di un perfetto idiota. I nostri status sono le parole che vorremmo dire ai nostri uomini, le cose estreme che non possiamo gridare alle fidanzate, tutte le parole che non abbiamo il coraggio di dire a chi ne sarebbe il legittimo destinatario. E così le propiniamo a tutti gli altri. Passi per gli adolescenti. Ma qua parliamo di adulti. Solo che col tempo l'età del rincoglionimento si estende sempre di più. Per questo voglio sposarmi presto. Perchè sento che tra qualche anno non ne potrò più di cazzate, per fortuna. Spero di sposare un uomo che mi rubi l'adolescenza, perchè diciamocelo, l'adolescenza è FI-NI-TA. Non voglio passare la vita a citare i testi della mia canzone preferita, come quando a 12 anni li scrivevo sulla smemo.

Continuo a pensare a dove ho sbagliato in quei due giorni. Sebbene razionalmente sappia che le ore che passano nel w.e. non contano, irrazionalmente ogni minuto mi fa sprofondare ulteriormente. Ogni minuto dirada le probabilità, e mi allontana da ciò che voglio.

Juha dice che il mondo non si ferma mai solo perchè non hai ottenuto qualcosa che volevi. Ha ragione. In questo momento mi sembra ancora di più una tragedia, che il mondo non si fermi. Sorrido al pensiero che mi chiede com'è andata. Mi manda i pesci che mi cantano "don't worry".

Domenica dormo. Non mi sento neanche in colpa. Poi faccio il bucato, e poi mangio. C'è il sole. Poi piove, poi nevica. 3 ore di lavoro di gruppo. Bene. Formal dinner in compagnia. Bene. Bene è tutto ciò che è reale e che mi tiene coi piedi per terra. Domani saprò.

venerdì 30 gennaio 2009

Cambiamenti

Oggi pensavo, ancora una volta, a quanto poco contino l'indole naturale, la genetica, il carattere a definire quello che siamo e come ci comportiamo. Un niente rispetto alla cultura che ci circonda dalla nascita.

Io sono cresciuta in Italia, immersa in una cultura pressapochista, imprecisa, istintiva - sia in famiglia che a scuola; e in televisione, e sui giornali.
La prima volta che sono venuta in contatto con le conseguenze delle mie azioni è stata quando la mia amica delle medie smise di rispondere alle mie telefonate. In maniera forse un pò plateale, mi fece pur sempre notare che era stufa dei miei continui bidoni.
Ai tempi alzai le spalle arrogantemente, ma ora mi rendo conto che il mio comportamento rifletteva un discorso di questo tipo: "Dico di sì a tutto, poi se scopro che non posso, annullerò...".

A 19 anni iniziai il mio primo lavoro, part time, come maschera teatrale. Sebbene generalmente prendessi il lavoro sul serio, mi riservavo sempre, in qualche occasione, di cancellare un turno per cui avevo dato disponibilità - magari all'ultimo momento, fingendomi malata.
Era un comportamento all'italiana - in fondo andavo fiera di quell'abilità di aggirare gli ostacoli; di quell'arte di cavarsela, di arrangiarsi, di ottenere dal mondo ciò che volevo. In un modo o nell'altro.

"La puntualità è una perdita di tempo", citavo baldanzosa da Oscar Wilde. In fondo, il mio tempo era tutto ciò che mi interessava.
Poi ho perso altre due amiche in un colpo solo. Stanche di aspettare, avevano fatto fronte comune nel modo più militaresco possibile. Tuttavia, una personalità fondamentalmente calda mi impediva sempre di trovarmi completamente sola - e così evitavo ogni autocritica.

Poi sono partita per la Finlandia. I tramonti eterni di Agosto mi osservavano dalla finestra. I treni spaccavano il secondo e non mi aspettavano, neanche se correvo. Un ritardo non annunciato era abbastanza perchè Kaisa, Jenni e Liisa non mi rivolgessero più la parola.

In quei bui pomeriggi invernali, Juha mi aspettava al gelo, senza mai entrare nel bar prima che io arrivassi. Quando arrivavo - in ritardo di 20 minuti e dopo 5 messaggi di scuse - lui mi guardava sorridendo, come a dire "Italialainen..."; ma io mi vergognavo del mio comportamento.

La puntualità mi è entrata nel sangue come un virus. Dev'esserci rimasta, perchè non ho mai più fatto quei ritardi di ore a cui avevo abituato i miei amici. A dirla tutta, non ho mai più fatto ritardi che superassero i 10 minuti. Ancora, la società in cui viviamo detta le nostre regole, e in Italia spaccare il minuto semplicemente non ha senso.

Ma non è la questione superficiale che può sembrare. In Finlandia ho imparato il rispetto per gli altri. Ho imparato la precisione, e il valore della mia parola. Ho assorbito delle regole, anche se so che queste esistono anche per essere, a volte, superate.
Ho mantenuto la flessibilità di un'italiana; e la passione, l'intuito, la consapevolezza che niente, in questo mondo, vale più del valore che noi gli diamo. Ma ho buttato via il menefreghismo, e la convinzione che ciascuno è un'isola, e che il prossimo vada fregato, prima che lui freghi noi. So che molte cose ci sopravviveranno, e le strade che sporchiamo oggi saranno dei nostri figli domani.




Tempo

Tutt'a un tratto mi sono trovata con una quarantina di ore in più del previsto prima di una scadenza. E' stato un po' come se qualcuno avesse aperto gli anelli del mio organiser e ci avesse infilato un paio di fogli extra: così, come regalo. Come se si potesse fare click destro e aggiungi colonna nell'agenda di Outlook, tra il giovedì e il venerdì. Un'intera giornata a mia disposizione.

Mi sono sentita un po' come quando la prof diceva "vabeh, rimandiamo il compito a domani", e io mi lasciavo cascare dietro al banco pensando "sììì un'altra giornata per studiare". Che poi le usassi o meno per studiare, quelle ore avevano un sapore impagabile.

Mi sono avviata in centro in volata - nella testa il motivetto Disney "Il mondo è mio" - apri gli occhi e vedrai (neanche la mia bici fosse il tappeto magico di Aladdin). Il tragitto casa-centro mi prende normalmente 3 minuti; 4 se devo fermarmi all'incrocio. Detesto fermarmi all'incrocio. Quando riesco a tirare dritto, la giornata inizia col piede giusto (stamattina ho rischiato).

Per prima cosa, mi sono fermata da Starbucks, e dilungata più del previsto nei rituali mattutini. Tazza grande, Guardian appoggiato sul tavolo a fianco, appuntamento con l'amica.
Poi ho oltrepassato il King's college tinto dei colori del sole invernale, come acquarello su tela. Quel tratto mi piace per due motivi. La costruzione imponente e gotica del college acquista ogni giorno una luce diversa. Il cielo dicembrino, limpido e azzurro, lo rendeva elettrizzante come un invito. La luce velata di stamattina, lo avvolgeva come il castello di una fiaba. Mi piace anche perchè è l'inizio del lungo rettilineo, recentemente asfaltato, che mi porta alla business school in tutta velocità.

Normalmente guardo gli scaffali della biblioteca con un peso nel cuore. Mi ricordano quante cose ho da fare; quante lacune di conoscenza da colmare in tutta fretta quest'anno. I libri, nuovi e lucidi, in quella biblioteca pulita e luminosa, mi ricordano che non ho ancora imparato a organizzare il mio tempo. Gli altri lo dividono in ordinati cubi, io lo regalo spesso al primo conoscente che mi chiede di bere un caffè.

Oggi però, ogni libro mi dava l'inebriante sensazione della cultura in potenza. Quanto avrei potuto leggere in queste ore! Quanti concetti, nozioni, collegamenti impensati in quei libri di management! Organizzazione, marketing, comportamento dell'azienda. Economie mondiali. Microeconomie. Regolamentazione dei flussi finanziari. Tutti quei concetti che ci girano intorno, tutti giorni, i concetti da cui dipendono le nostre vite - o almeno la nostra agiatezza - e che pure la maggior parte della gente si sente di poter ignorare. Cose da addetti ai lavori. Fino a che non si tramutano in licenziamenti in tronco e voci che anche il nostro reparto è in pericolo!

Ho studiato pubblicità, and I'd better make it useful.




martedì 27 gennaio 2009

Vampiri

Invece di occupare il mio tempo in attività costruttive quali, per esempio: la lettura del manuale di economia; cercare di non essere l'unica della classe a prendere insufficiente nel compito di statistica; prepararmi per quel famoso colloquio che potrebbe garantirmi un buon, saldo, glamorous posto di lavoro... Invece di tutto ciò, dico, io vado in giro a infatuarmi dei vampiri.

Non che ne girino tanti, in quel di Cambridge. Al massimo qui si può trovare qualche zombie sull'orlo del coma etilico; un undergraduate vestito da sacco dell'immondizia; qualche vicino di casa dalla stretta di mano gelida e umida - non basta certo questo a fare un vampiro.

Più la mia routine è severa e senza fronzoli, più io mi illanguidisco, mi faccio vittima dei romanzi, dei film romantici, delle canzoni di Bon Jovi. Ma tutto è questo è niente in confronto alla cotta che mi sono presa per Twilight, il film più riuscito di tutti i tempi nella categoria... -- beh, nella sua categoria.

Insomma, un vampiro è il massimo, chi non ne vorrebbe uno. Così misteriosi, così introversi, così problematici. Io, come tutte le donne, ho un pò la sindrome dell'effetto-salvifico. Non so che sindrome sia di preciso. Si manifesta come una tendenza verso l'uomo tenebroso, dal cuore di ghiaccio che si scioglierà solo per noi. Quel forte un pò indifeso. Quel timido ma indipendente. Quello che si fa i cazzi suoi ma poi appare all'ultimo quando ci deve tirare fuori dai guai. Se poi è emarginato, con un pò di senso di superiorità nei confronti di tutto e tutti, meglio ancora. Se poi ha dei poteri sovrannaturali e muore dalla voglia di succhiarti il sangue, praticamente mi sono già innamorata.