Oggi pensavo, ancora una volta, a quanto poco contino l'indole naturale, la genetica, il carattere a definire quello che siamo e come ci comportiamo. Un niente rispetto alla cultura che ci circonda dalla nascita.
Io sono cresciuta in Italia, immersa in una cultura pressapochista, imprecisa, istintiva - sia in famiglia che a scuola; e in televisione, e sui giornali.
La prima volta che sono venuta in contatto con le conseguenze delle mie azioni è stata quando la mia amica delle medie smise di rispondere alle mie telefonate. In maniera forse un pò plateale, mi fece pur sempre notare che era stufa dei miei continui bidoni.
Ai tempi alzai le spalle arrogantemente, ma ora mi rendo conto che il mio comportamento rifletteva un discorso di questo tipo: "Dico di sì a tutto, poi se scopro che non posso, annullerò...".
A 19 anni iniziai il mio primo lavoro, part time, come maschera teatrale. Sebbene generalmente prendessi il lavoro sul serio, mi riservavo sempre, in qualche occasione, di cancellare un turno per cui avevo dato disponibilità - magari all'ultimo momento, fingendomi malata.
Era un comportamento all'italiana - in fondo andavo fiera di quell'abilità di aggirare gli ostacoli; di quell'arte di cavarsela, di arrangiarsi, di ottenere dal mondo ciò che volevo. In un modo o nell'altro.
"La puntualità è una perdita di tempo", citavo baldanzosa da Oscar Wilde. In fondo, il mio tempo era tutto ciò che mi interessava.
Poi ho perso altre due amiche in un colpo solo. Stanche di aspettare, avevano fatto fronte comune nel modo più militaresco possibile. Tuttavia, una personalità fondamentalmente calda mi impediva sempre di trovarmi completamente sola - e così evitavo ogni autocritica.
Poi sono partita per la Finlandia. I tramonti eterni di Agosto mi osservavano dalla finestra. I treni spaccavano il secondo e non mi aspettavano, neanche se correvo. Un ritardo non annunciato era abbastanza perchè Kaisa, Jenni e Liisa non mi rivolgessero più la parola.
In quei bui pomeriggi invernali, Juha mi aspettava al gelo, senza mai entrare nel bar prima che io arrivassi. Quando arrivavo - in ritardo di 20 minuti e dopo 5 messaggi di scuse - lui mi guardava sorridendo, come a dire "Italialainen..."; ma io mi vergognavo del mio comportamento.
La puntualità mi è entrata nel sangue come un virus. Dev'esserci rimasta, perchè non ho mai più fatto quei ritardi di ore a cui avevo abituato i miei amici. A dirla tutta, non ho mai più fatto ritardi che superassero i 10 minuti. Ancora, la società in cui viviamo detta le nostre regole, e in Italia spaccare il minuto semplicemente non ha senso.
Ma non è la questione superficiale che può sembrare. In Finlandia ho imparato il rispetto per gli altri. Ho imparato la precisione, e il valore della mia parola. Ho assorbito delle regole, anche se so che queste esistono anche per essere, a volte, superate.
Ho mantenuto la flessibilità di un'italiana; e la passione, l'intuito, la consapevolezza che niente, in questo mondo, vale più del valore che noi gli diamo. Ma ho buttato via il menefreghismo, e la convinzione che ciascuno è un'isola, e che il prossimo vada fregato, prima che lui freghi noi. So che molte cose ci sopravviveranno, e le strade che sporchiamo oggi saranno dei nostri figli domani.
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